29 marzo 2011

LE TRE ‘C’ NELLA VITA DI LUCIA MONDELLA




Lucia Mondella è il personaggio più statico del romanzo ‘I Promessi Sposi’. Mentre altri personaggi si evolvono e, in alcuni casi, cambiano radicalmente lei non cambia di ‘una virgola’. È molto legata alla madre; è timida; agisce poco per paura del cambiamento e, a mio parere, è anche abbastanza noiosa.
Al giorno d’oggi donne con la personalità di Lucia sono più rare, poichè la vita offre più possibilità di un tempo: oggi risulterebbe un po’ ridicolo pensare che un ragazzo non voglia separarsi dai genitori. Quasi tutti i giovani, appena ne hanno l’occasione, se ne vanno di casa per fare nuove esperienze ma soprattutto perché vogliono costruirsi una vita propria, separata da quella dei genitori.
A questo proposito mi viene in mente un film che ho visto poco tempo fa al cinema dal titolo “Immaturi”.
Il film racconta la storia di un gruppo di adulti cui tocca la sfortuna di ripetere la maturità perché il loro esame, sostenuto vent’anni prima, viene annullato per delle irregolarità. Tra di loro c’è un quarantenne che vive ancora a casa con i genitori e non fa niente per cambiare questa situazione, probabilmente perché non ha ancora trovato nessun motivo per farlo.
Lucia Mondella, invece, esita ad andarsene di casa e a sposare Renzo perché ha paura dei cambiamenti: farlo, infatti, vorrebbe dire separarsi dalla madre e interrompere il continuo rapporto che ha con lei.
Quindi possiamo dire che la Casa è la prima ‘c’ di Lucia.
La seconda ‘c’ invece è ovviamente la Chiesa. La ragazza si affida in tutto per tutto al Signore e alla Provvidenza e tutto quello che accade, secondo lei, è già stato deciso lassù e quindi non bisogna, né si può, andare contro la volontà divina.
Penso che sia sbagliato il modo in cui si comporta Lucia, perché bisogna agire e non accettare passivamente quello che accade: come disse lo storico romano Sallustio, “faber est suae quisqe fortunae” e cioè ciascuno è l’autore del proprio destino o, per dirla più ‘terra terra’, ognuno è ciò che fa.
Esprimendo il concetto in matematica
C(asa) + C(hiesa) – C(ambiamenti) = Lucia

Voi invece cosa pensate? Ci si può opporre al proprio destino e quindi modificarlo oppure bisogna rimanere inermi e restare a guardare mentre la vita va avanti?

27 marzo 2011

Stessa persona, diverse identità




In seguito al colloquio tra Lucia e Agnese nel ventiseiesimo capitolo, con continui riferimenti a Renzo, il narratore ci informa degli ultimi sviluppi della vicenda del giovane. Nell’ottica deformante della burocrazia egli è infatti soltanto un nome su un documento che passa di mano in mano, da un funzionario all’altro. Più che un nome, nell’immaginario collettivo di politici insensibili e uomini che condannano facilmente, Renzo diventa “IL” nome agli occhi della giustizia che non si preoccupa minimamente di verificare come siano realmente i fatti, ma si limita all’apparenza, a ciò che si è sentito dire.
Accanto all’ingenuità di questi personaggi si aggiunge l’ironia dello stesso Manzoni che li rappresenta beffati da un umile popolano, il cugino Bortolo. Egli, oltre ad inventare storielle su Renzo per trarre in inganno i non pochi curiosi, riesce con le sue piccole astuzie a depistare la giustizia e a salvarlo, presentandolo in una nuova filanda sotto il nome fittizio di Antonio Rivolta.

“Bortolo lo condusse a un altro filatoio e lo presento sotto il nome di Antonio Rivolta, al padrone, ch’era nativo anche lui dello stato di Milano, e suo antico conoscente. [...] Alla prova poi, non ebbe che a lodarsi dell’acquisto; meno che gli era parso che il giovane dovesse essere un po’ stordito, perché, quando si chiamava: Antonio! le più volte non rispondeva.”

Ancora oggi la doppia identità rimane un simbolo di evasione da quello che si è in origine, per motivi molteplici, che possono essere di natura sociale, legati alla giustizia e non solo. Celebri esempi alimentati da questo tema sono i collaboratori di giustizia che devono cambiare connotati per sè e per i propri familiari ai fini della salvaguardia della propria vita.
L'utilizzo di doppie identità purtroppo si affianca troppo spesso anche a nomi di mafiosi; tra questi c’è il capo-mafia Bernardo Provenzano, latitante dal 1963. Si faceva chiamare Ingegner Lo Verde, era considerato il capo dei capi e nonostante molti sapessero la sua vera identità, ci sono voluti quasi 40 anni perché giustizia sia fatta (quarant’anni passati in buoni rapporti col sindaco di Palermo Vito Ciancimino, ma poi il “tradito” dal figlio di quest’ultimo, Massimo). Non si tratta però di personaggi inventati e "innocenti" come Renzo che, nel romanzo, attraverso stratagemmi fa perdere le tracce di sé; i personaggi attuali, seppur sotto diverse spoglie, sono comunque conosciuti tra le persone e chi per paura, chi per affari non li denuncia. Ed ecco alimentato un giro che è pane quotidiano specialmente nel sud Italia.

Bisognerebbe, forse, intraprendere una “caccia” sistematica perché di Ingegner Lo Verde ce ne sono troppi.


Sergio Paiu

18 marzo 2011

Due persone agli antipodi: don Abbondio VS il cardinale Borromeo


"[…]Don Abbondio stava zitto; ma non era più quel silenzio forzato e impaziente: stava zitto come chi ha più cose da pensare che da dire. Le parole che sentiva, eran conseguenze inaspettate, applicazioni nuove, ma d' una dottrina antica però nella sua mente, e non contrastata. Il male degli altri, dalla considerazion del quale l' aveva sempre distratto la paura del proprio, gli faceva ora una nuova impressione[…]"

La seconda parte del capitolo XX e l’ inizio di quello successivo dei Promessi Sposi, sono interamente occupate dal colloquio fra il Cardinale Borromeo e Don Abbondio. Il curato viene chiamato alla resa dei conti dal suo superiore per non aver celebrato il matrimonio tra Renzo  e Lucia. Anche  di fronte ai rimproveri, il povero cuor di leone,  non capisce che il suo vero compito doveva essere quello di santificare l’ amore tra Renzo e Lucia mediante il matrimonio. Il contrasto tra i due caratteri e le due coscienze in questo breve ma significativo incontro è inevitabile.    La sola cosa che unisce queste due figure probabilmente è la religione che si manifesta però in modi differenti. Don Abbondio come  la Monaca di Monza, è un personaggio fondamentale per il corso della storia. Le loro azioni e i loro comportamenti hanno effetti negativi per i due protagonisti. A loro si contrappongono Fra Cristoforo e Borromeo che, invece, cercano di favorire il loro amore. Don Abbondio aveva deciso di farsi prete seguendo il consiglio dei suoi familiari che, bene avevano capito come lui, essendo così debole, non fosse in grado di farsi rispettare e quanto la chiesa rappresentasse una potenziale forma di protezione. Lo spirito religioso che lo caratterizza è superficiale e meno autentico rispetto a quello del suo superiore.  Infatti il cardinale non aderisce alla religione  per “consiglio”  familiare ma solo dopo un lungo periodo di meditazione. Si può dire che Don Abbondio, trovandosi costretto a vivere in una società di prepotenti (quali ad esempio don Rodrigo, i bravi…), ha preso i voti per scappare dalle preoccupazioni senza però riflettere sui veri doveri ed obblighi nei confronti della comunità. Ciò che governa il suo carattere è la paura. Paura che gli impedisce di mettersi davanti alle sue responsabilità e di affrontarle, facendolo chiudere a “riccio”e scaricando le sue colpe sugli altri.  Don Abbondio afferma infatti: “Il Coraggio, uno non se lo può dare”. Il cardinale Borromeo invece, rappresenta un modello religioso da seguire, per i suoi atteggiamenti dolci, gentili,cortesi e anche se qualche volta bruschi, egli era sempre ammirato e stimato da tutti.
Originalissimo! Ecco, forse questa è la parola corretta per descrivere il colloquio tra i due. Ma ancora più significative sono le reazioni e le continue scuse e giustificazioni di Don Abbondio. È anche vero però, che se non fosse stato creato questo personaggio, il romanzo sarebbe finito nei i primi capitoli! 
E oggi,  quando una persona non adempie al proprio compito, cerca di discolparsi come ha fatto Don Abbondio?

Segato Giacomo Filippo

2Ds

3 marzo 2011

Una "strana" nonnina


“[…] Ma vedendo che tutti gl’incanti riuscivano inutili, «siete voi che non volete,» disse. «Non istate poi a dirgli ch’io non v’ho fatto coraggio. Mangerò io; e ne resterà più che abbastanza anche per voi, per quando metterete a giudizio, e vorrete ubbidire.»
[…] «Venite a letto: cosa volete far lì, accucciata come un cane? S’è mai visto rifiutare i comodi, quando si possono avere?»
« No, no; lasciatemi stare»
«Siete voi che lo volete. Ecco, io vi lascio il posto buono: mi metto incomoda per voi. Se volete venire a letto, sapete come avete a fare. Ricordatevi che v’ho pregata più volte.[…]"

La vecchia, descritta dal Manzoni, ci viene presentata per la prima volta alla fine del ventesimo capitolo mentre Lucia, rapita con l’inganno dai bravi dell’Innominato, sta arrivando alla taverna della Malanotte.
Questa locanda si trovava all’inizio di una ripida strada in salita che portava al castello dell’Innominato.
La vecchia era la fedele serva dell’Innominato e non poteva ribellarsi perché nata in un mondo in cui chi aveva potere poteva sottomettere le persone più deboli. Da giovane donna si era sposata con un servo, il quale morì in una spedizione pericolosa e, da quando accadde questo, lei uscì sempre meno dal castello. È una donna priva di sentimenti e questo si può notare dal fatto che il Manzoni non lascia spazio nella vita della donna all’amore, nemmeno descrivendo il suo matrimonio. Inoltre ci viene descritta come una figura con qualcosa di stregonesco e grottesco insieme: mento appuntato, occhi infossati e la presenza delle occhiaie.
In questo romanzo ha il compito di assistere Lucia durante la permanenza nella sua stanza facendole coraggio, offrendole cibo. Tutto questo perché l’Innominato gliel’ha ordinato, infatti svolge il suo lavoro senza mostrare nessun segno di compassione nei confronti di Lucia, ma pensando soltanto a mangiare e a dormire, due delle cose importanti nella vita di qualunque persona.

I nonni, di solito, con i loro nipotini, tendono ad essere affettuosi, gentili e capaci di farsi amare viziandoli, comprando loro il gelato o le caramelle che la madre non metterebbe mai dentro la borsa della spesa. Ma sanno farsi rispettare in qualsiasi maniera a seconda della situazione e dell’età del nipote. In molte circostanze, però, sostituiscono i genitori quando questi non possono occuparsi dei propri figli, portandoli al mercato o al parco giochi. In questo modo riescono a passare anche loro una giornata divertente e, se faticosa, l’hanno fatto per far divertire i loro nipotini. E i vostri nonni come si comportano?

Zarantonello Gessica, 2^Ds