8 giugno 2011

Confidiamoci


Lucia, col petto ansante, lacrimando senza piangere, come chi racconta una cosa che, quand’anche dispiacesse, non si può cambiare, rivelò il voto, e insieme, giungendo le mani, chiese di nuovo perdono alla madre, di non aver parlato fin allora; la pregò di non ridir la cosa ad anima vivente, e d’aiutarla ad adempire ciò che aveva promesso.
Rinchiusa nel castello dell’Innominato Lucia fa voto alla Madonna, promettendo di non sposare Renzo. Successivamente liberata la giovane confida alla madre di aver giurato di abbandonare l’idea del matrimonio.
È complesso fare dei paragoni tra il mondo d’oggi e quello del 1600 circoscritto alle mura domestiche e che si ampliava al massimo fino ai confini del paese o della parrocchia. Un contesto così è inconfrontabile con il vissuto degli adolescenti d’ oggi che usano  sms e facebook. Un tempo le confidenze in famiglia, in particolare tra genitori e figli, erano maggiori. Penso che ciò sia dovuto a vari fattori. C’era più rispetto nelle famiglie, e con questo non voglio dire che ora non ci sia, ma per esempio alcuni coniugi tra loro si davano del voi. La famiglia aveva un ruolo maggiore ed era più unita, quindi prima ci si confidava con i genitori o con i fratelli e poi con gli amici. Una confidenza, infatti, può essere fatta per vari motivi, ma spesso è per risolvere un problema che sembra impossibile. L’opinione di un’altra persona di sicuro aiuta a vedere la questione da un altro punto di vista, o addirittura a risolverla. Secondo me la confidenza va fatta alla persona giusta.  Non può essere chiunque, anzi, dev’ essere scelta con cura e dev’ essersi guadagnata la fiducia.  A mio avviso la scelta della persona con cui confidarsi dipende da ciò che si vuole dire. Alcune cose si dicono ai genitori, che hanno più esperienza, per altre invece si ricorre agli amici fidati sempre pronti a dare un consiglio.
E voi con chi vi confidate di più? 
Chiara Capparotto



7 giugno 2011

Volere&sapere, sono potere


Il contadino che non sa scrivere, e che avrebbe bisogno di scrivere, si rivolge a uno che conosca quell’arte, scegliendolo, per quanto può, tra quelli della sua condizione, perché degli altri si perita o si fida poco;l’informa con più o meno ordine e chiarezza, degli antecedenti: e gli espone, nella stessa maniera, la cosa da mettere in carta.”


“Volere è potere”. Sì, ma anche “volere e sapere è potere”. Il povero Renzo, lontano dalla sua patria e dalla sua amata, si trova costretto ad affidarsi ad uno sconosciuto e a raccontargli le sue avventure, le sue preoccupazioni e le sue speranze perché questi potesse scrivergli delle lettere da mandare ad Agnese e Lucia. Fino a non più di cent’anni fa erano tanti, anche nelle nostre zone, quelli che non avevano avuto la possibilità di frequentare la scuola e di conseguenza non sapevano né leggere né scrivere e per i loro affari erano sempre costretti ad affidarsi a qualche “letterato” del paese che potesse aiutarli. Pensandoci, ci sembra una cosa assurda perché ormai diamo per scontato l’idea di poterci arrangiare nelle piccole cose, di non dover dipendere completamente da qualcuno e di riuscire, in un certo senso, a difenderci da malintenzionati che potrebbero approfittare della nostra ignoranza. I tempi fortunatamente sono cambiati e gran parte della popolazione sa leggere e scrivere ma non dobbiamo pensare di essere realmente autonomi in tutto! Quante volte ci troviamo a dover consultare un medico per capire un referto, un avvocato per la comprensione di una legge, un commercialista per una dichiarazione dei redditi… ?Sono tante le occasioni in cui ci dobbiamo fidare ciecamente della persona che abbiamo davanti e a cui dobbiamo raccontare le nostre vicende e spesso ci sentiamo anche un po’ a disagio una volta constatata la nostra ignoranza, per questo un po’ ci vergognamo perché abbiamo paura di essere giudicati da chi ne sa più di noi. C’è da dire che, se da una parte al giorno d’oggi siamo tutti più “scolarizzati” rispetto ai tempi di Renzo, anche la società attuale è molto più complessa di quella del tempo e quindi è normale che, nonostante anni di studio, ci troviamo del tutto ignoranti su certi argomenti tecnici e siamo costretti a chiedere l’aiuto di chi ne sa più di noi. Ma non ci dobbiamo preoccupare troppo di questo perché medici e avvocati hanno studiato anni e anni per arrivare a ricoprire quei ruoli!

Eleonora Ciscato

'HO IMPARATO', DICEVA..



“ Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire. "Ho imparato," diceva, "a non mettermi ne' tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardare con chi parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte, quando c'è lì d'intorno gente che ha la testa calda: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d'aver pensato quel che possa nascere." E cent'altre cose. “

Nella vita ci sono due tipi di persone: quelle ottuse, e quelle che dagli errori imparano. Le prime sono quel tipo di persone che dopo aver commesso un errore, potrebbero ripeterlo per altre cento o mille volte, sempre identico, sempre uguale; questo perché non sanno capire ciò che di sbagliato c’è nelle loro azioni, non sanno trovare la parola che non funziona nella loro frase e, di conseguenza, continueranno a riscriverla la in modo scorretto. Questo può essere conseguenza di un atteggiamento troppo orgoglioso per ammettere i propri errori o semplicemente dell’essere troppo testardi e non riconoscerli nemmeno.
Le seconde, invece, sono persone che, dopo aver commesso un fallo, sono in grado di capire dove hanno sbagliato, capire le cause della loro azione e le conseguenze, per poi cercare di non commettere più errori simili. Certo, non è semplice, ma il nostro amico Renzo è entrato ufficialmente a far parte di questa categoria. Dopo le sue numerose avventure, tra rivolte, sbronze e soliloqui nelle piazze di Milano, Renzo, insieme con Lucia, si trasferisce a Bergamo e inizia una nuova vita. Manzoni, sottolinea nel Romanzo come questo importante personaggio sia in grado di apprendere dai propri errori, ‘per governarsi meglio in avvenire’, e come sia fiero di raccontarlo ai suoi figli, perché essi possano prenderne esempio.
Il nostro protagonista, quindi, giunti a conclusione, ha superato la prova e si è dimostrato un personaggio positivo, che cresce nel corso di tutta la narrazione e cambia in meglio.
Perciò, si può imparare dai propri errori?
Noemi Bolzon

E VISSERO TUTTI FELICI E CONTENTI..




“..E per questo, soggiunge l'anonimo, si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio. È tirata un po' con gli argani, e proprio da secentista; ma in fondo ha ragione. Per altro, prosegue, dolori e imbrogli della qualità e della forza di quelli che abbiam raccontati, non ce ne furon più per la nostra buona gente: fu, da quel punto in poi, una vita delle più tranquille, delle più felici, delle più invidiabili; di maniera che, se ve l'avessi a raccontare, vi seccherebbe a morte..”

“E vissero tutto felici e contenti..”. Questa frase, sentita e risentita, è la fine adatta anche per i Promessi Sposi. Renzo e Lucia, superati gli innumerevoli imprevisti e ostacoli, riescono finalmente a coronare il loro sogno d’amore; la loro vita diventa felice, senza troppi problemi, e soprattutto normale!
Un classico finale da favola, degno di una storia così travagliata. I “piccioncini” si giurano amore eterno, i cattivi vengono perdonati, la fortuna gira..e gli ignavi restano tali e quali.
Ogni cosa si trasforma in quel perfetto lieto fine che Renzo e Lucia sognavano da quel lontano 1628: arriva il trionfo del bene sul male e i Promessi vengono premiati per aver sopportato le prove imposte loro dal destino.
Così anche nella vita di tutti i giorni le persone aspettano l’arrivo del “momento felice”, quella sensazione di problemi risolti, serenità, nulla per cui preoccuparsi. La vita, però, spesso è tutto il contrario, anzi forse è altalenante, ancora peggio. Un momento si è in paradiso e il momento dopo sembra crollato tutto il mondo felice che si era costruito. I periodi pieni di problemi sembrano troppi, tutto è frenetico e appena si trova un secondo per liberare la mente, ecco che ritorna il pensiero dell’appuntamento, del lavoro non finito, dell’amico arrabbiato, del brutto voto nel compito.
Renzo e Lucia potrebbero però essere d’esempio. Un esempio di perseveranza e sopportazione. Insieme, seppur lontani, sono riusciti a sconfiggere con il loro amore i capricci di Don Rodrigo, la codardia di Don Abbondio e hanno superato le più difficili prove per arrivare al tanto sognato traguardo finale. Bisognerebbe imitarli, pensare che un lieto fine esiste sempre e che le montagne che si innalzano nella vita non sono mai troppo alte da non poterle superare. Impegno, costanza e forse un po’ di fatica, il dulcis in fundo c’è, ne sono convinta! E voi, pensate che la felicità delle favole possa esistere davvero?

Sara Adami

UNA PIOGGIA DI SALUTE

                               

“Appena infatti ebbe Renzo passata la soglia del lazzeretto e preso a diritta, per ritrovar la viottola di dov'era sboccato la mattina sotto le mura, principiò come una grandine di goccioloni radi e impetuosi, che, battendo e risaltando sulla strada bianca e arida, sollevavano un minuto polverìo; in un momento, diventaron fitti; e prima che arrivasse alla viottola, la veniva giù a secchie. Renzo, in vece d'inquietarsene, ci sguazzava dentro....
Ma quanto più schietto e intero sarebbe stato questo sentimento, se Renzo avesse potuto indovinare quel che si vide pochi giorni dopo: che quell'acqua portava via il contagio; che, dopo quella, il lazzeretto, se non era per restituire ai viventi tutti i viventi che conteneva, almeno non n'avrebbe più ingoiati altri”

Sicuramente oggi la pioggia viene vista come una delle cose peggiori che possiamo incontrare in una nostra giornata e sicuramente non come una svolta, ma piuttosto come un handicap che ci può creare non pochi disagi. Figuriamoci una tempesta!!
Con Manzoni, invece, questo fenomeno viene utilizzato per dare una svolta fondamentale al romanzo. Se non ci fosse stata una grande tempesta, il romanzo sarebbe potuto terminare...magari per l'assenza di personaggi, dato che molti sarebbero morti a causa della peste. La pioggia, cosa che il popolo ignorava, era un ottimo rimedio e un'ottima cura proprio alla peste che stava sterminando moltissime persone. Scelta forzata quindi o scelta stilistica?? La pioggia infatti è anche un elemento che purifica e Manzoni come sappiamo voleva sottolineare nel suo capolavoro la necessità di una svolta anche nelle vita del tempo, una necessità di purificare la città di Milano dagli stranieri.
Come tutti sanno l'acqua è fondamentale per la sopravvivenza ed è anche un argomento che è sempre nei discorsi delle persone ed al quale si attribuiscono valori positivi ma anche negativi. Per prima cosa basta pensare ai periodi secchi e aridi, nei quali si prega che piova, ma alla fine non accade quasi mai. Poi, però, quando finalmente piove, non è una noia e un dispiacere, ma al contrario una festa e un sollievo, proprio come per Renzo quando nel lazzaretto cercava Lucia. Altro esempio di queste feste è sicuramente l’Africa con le celebrazioni tradizionali delle varie tribù in favore dell’acqua che offre loro enorme sollievo. Ci sono però anche aspetti negativi che riguardano l’acqua. Non si può non citare l’alluvione dei primi di Novebre del 2010 che ha colpito e immobilizzato la città di Vicenza per quasi tre giorni. Si fanno anche molte domande sull’acqua! Una su tutte “l’acqua deve essere privatizzata o no?” A questo proposito è stato anche indetto un referendum popolare.
Insomma, l’acqua è un elemento utilazzato nella vita di tutti i giorni, certe volte non molto preso in considerazione, ma che ha contribuito addirittura a formare la storia letteraria del nostro Paese e magari potrebbe modificare anche il “futuro” attuale dell’Italia…in base magari al referendum! E voi cosa pensate dell’acqua e dei suoi “effetti”?

Matteo Fontana

PERSONAGGIO PREFERITO ...A VOI LA SCELTA !




I Promessi Sposi vi sono piaciuti? Un classico della letteratura universalmente riconosciuto come romanzo di altissima importanza storica e culturale. E i personaggi? Qui di seguito sono presentati i personaggi principali del romanzo tra i quali potete scegliere il vostro preferito :
Renzo Tramaglino, il giovane sposo intelligente e furbo (anche se non bastano quando è immerso in problemi al di fuori del suo paesello )
Lucia Mondella, la promessa sposa a Renzo, rappresenta la forma più pura e sincera di religiosità( fin troppo direi)
Don Abbondio, sacerdote che dovrebbe sposare i due promessi sposi.E' un codardo arrongante con i deboli e ha paura dei potenti, infatti è servile con loro.
Don Rodrigo:signorotto di quelle terre che vive nell'illegalità e usa la violenza per raggiungere i suoi scopi
L'Innominato,già dal nome si capisce tutto e a differenza di don rodrigo che è un signorotto di quelle terre, lui è il BOSS
La Monaca di Monza, una ragazza coraggiosa che non esita ad andare contro la volontà del padre per realizzare i propri sogni ma invano, perchè costui la ricatta ed è costretta a farsi monaca.
Padre Cristoforo, frate che aiuta i giovani sfortunati ed è il padre ideale pronto a sacrificare la sua vita per salvare gli altri
Agnese, la madre di Lucia
Tonio e Gervasio, due fratelli amici di Renzo
Perpetua, domestica di Don Abbondio,
Azzecca-Garbugli, avvocato che modifica la legge in modo che gli unici ad avere giustizia siano i potenti.
Cardinale Borromeo, il cardinale grazie al quale l'innominato si converte, oltre ad aiutare Renzo e Lucia.
Griso è il capo dei bravi ,più fidato di don rodrigo, anche se quando scopre che Don Rodrigo ha la peste scappa e lo lascia solo
Tra i tutti i personaggi il mio preferito è senz' altro l' Innominato, un personaggio inizialmente malvagio, ma che gode di molto rispetto, tipo era il boss o un capomafia moderno
Adesso tocca a voi. Qual'è stato il vostro personaggio preferito?

ASTOU SECK

6 giugno 2011

Tortura: risolto qualcosa?

“…ah Dio mio! Ah che assassinamento è questo!……Per amor di Dio, fatemi dar da bere; ma insieme: non so niente, la verità l’ho detta. Dopo molte e molte risposte tali, a quella freddamente e freneticamente ripetuta istanza di dir la verità, gli mancò la voce, ammutolì; per quattro volte non rispose; finalmente potè dire ancora una volta, con voce fioca: non so niente;la verità l’ho già detta. Si dovette finire, e ricondurlo di nuovo, non confesso, in carcere.!”

La storia di Guglielmo Piazza e GianGiacomo Mora è uno dei tanti esempi che mostrano fino a che punto può arrivare la follia umana quando a causa di disastri entra in gioco la salute, anzi la vita di una comunità.
Siamo nella Milano del 1630, una Milano stremata, messa a K.O. da una malattia contagiosa che strappa di giorno in giorno la vita a centinaia di persone e di cui non si conosce né l’origine né tanto meno rimedio: la peste.
La paura della morte, il dolore, la fame e la debolezza che ne conseguono paiono aver fatto perdere totalmente la ragione e ogni valore umano alle persone che iniziano a credere a fatti che, come l’esistenza degli untori, sono privi di qualsiasi fondamento ed è proprio in questa situazione assurda, in cui non si può nemmeno passeggiare vicino ad un muro per ripararsi dalla pioggia senza il rischio di essere accusati di aver unto , che compare la tortura.
Infatti, in una simile situazione di miseria, in cui i milanesi vivevano costantemente con la paura e l’ansia, era necessario,per instaurare la calma , eliminare gli untori colpevoli di aver sparso la malattia in ogni angolo della città e con che altro mezzo si poteva fare meglio se non con la tortura?Fu così dunque che la tortura iniziò ad essere applicata come mezzo per ripristinare la sicurezza pubblica, ma il suo utilizzo fu tutt’altro che d’aiuto perché, come ce lo testimonia Pietro Verri, essa era controllata da giudici che gestendola a loro modo e piacere volevano che gli imputati confessassero la loro colpevolezza anche se innocenti.
Essa dunque costituiva un capriccio dei giudici e non uno strumento per conoscere la verità perché, anche se si continuava a confermare in lacrime o a squarciagola, giurando in nome di Dio o dei propri famigliari, la propria innocenza, si continuava a subire supplizi fino a quando non si elaborava una falsa notazione del fatto che accontentava il sadico giudice. Così fece per esempio il Piazza il quale, dopo essere stato sottoposto a vari tormenti perché continuava a ripetere la verità, ovvero di non essere mai stato a conoscenza che le mura della contrada Verga erano state unte, ad un certo punto per porre fine a tutte quelle sofferenze accusò il barbiere Mora di avergli preparato un unguento per diffondere la peste a base di sterco animale e saliva di morti.
Di episodi simili se ne verificarono di certo molti altri e tantissime furono quelle persone che, patendo e morendo per atti di cui non avevano assolutamente colpa, mostrarono come la tortura fosse uno strumento totalmente inutile e ingiusto capace semplicemente di strappare dalla bocca degli imputati non la verità, ma un sacco di menzogne.
Tuttavia a quanto pare la morte di molte persone e le redazione di libri che condannano la pratica della tortura sembrano non aver scomposto tutta l’umanità, ma solo una parte di essa perché al giorno d’oggi, nonostante siano passati 381 anni e il mondo si sia evoluto, la tortura non è un brutto ricordo del passato, ma appartiene ancora al presente.
Infatti, secondo i dati di Amnesty international sarebbero ancora 150 gli stati che aderiscono alla tortura e ciò che è sconvolgente è che alcuni di essi sono democratici e molto sviluppati.
A parer mio la tortura dovrebbe essere abolita perché non serve a dar luce a un caso, non dà ripristino all’ordine violato e tanto meno non ha un valore correttivo nei confronti del reo perché se quest’ultimo è innocente, tale punizione accrescerà solamente il suo odio nei confronti delle istituzioni. E poi scusate ma io mi chiedo: come può una persona condannare un individuo ad essere torturato se quest‘ultimo sostiene di essere innocente?. È vero che i criminali tendono di solito a smentire le proprie accuse, ma cosa spingono i giudici ad avere così tanto coraggio?
Francamente, se io fossi accusata di aver ucciso una persona e dovessi essere sottoposta a tortura per confessare di essere la colpevole, subito io mi inventerei di aver compiuto il delitto, anche se magari a quell’ora mi trovavo nel divano di casa mia a guardarmi pacifica la tv con davanti un sacchetto di pop corn. Dunque, la tortura è solo uno strumento che non reca alcun effetto positivo, ma solo dolore e menzogne e sinceramente, anche se ormai ci sto pensando da più di qualche giorno, non riesco a trovare nessuna ragione che possa giustificare la sua pratica così crudele ed ingiusta.Voi per caso riuscite a trovarne qualcuna?

Valentina Bastianello 2^Dls

5 giugno 2011

UN PADRE PER LUCIA



La figura di Padre Cristoforo nel romanzo è quasi un simbolo dell'eterna lotta tra il bene e il male, tra la forza spirituale e quella materiale, è un personaggio molto significativo che non si limita a dare dei consigli, ma agisce personalmente per aiutare Lucia.
Lucia è una ragazza umile, con nobili sentimenti, conscia dei suoi doveri di donna e di cristiana. Una strana sorte l'ha portata in mezzo a una serie di intrighi e di terribili vicende, ma anche di fronte al pericolo e al dolore ha trovato dentro di sé le risorse per ristabilire l'equilibrio e la pace dello spirito. Infatti, fin dal principio, pur essendo così angelica e sottomessa, ha saputo trovare in sé la forza di tener custodito un suo segreto. In tutto questo però c'era l'approvazione e l'appoggio di Fra Cristoforo, il suo padre spirituale.
Come si sa la figura del padre è essenziale nella vita di una persona, non solo di un bambino, ed è il personaggio che ha innanzitutto il compito di introdurci nella conoscenza della realtà totale e nel rapporto adeguato con essa.
Lucia, orfana di padre, vede in Padre Cristoforo l'unica persona capace di offrirle una soluzione alla difficile situazione in cui si trova e d'altro canto quest'ultimo non esita a venirle in aiuto.
Padre Cristoforo ha, invece, una storia travagliata di un padre che vergognandosi di essere mercante ha voluto educare i migliori cavalieri e nobili del tempo, introducendo così il figlio in un mondo di orgoglio e presunzione nel quale si trova a disagio. Il fatto drammatico ha reso Lodovico responsabile di due omicidi. Una volta presa la decisione nulla lo farà desistere dal suo desiderio di emendarsi e di vivere dolcemente la nuova strada che la Provvidenza gli ha indicato, che è appunto quella della paternità spirituale. In questa vicenda diventa un punto di riferimento affettuoso, capace di accogliere e perdonare, benevolo, di mente aperta e di animo generoso; ma allo stesso tempo deciso, puntiglioso e duro (vedi il discorso che fa a Lucia nel lazzaretto).
Fra Cristoforo è proprio come un “padre” quando risolve il problema di Lucia, si serve della sua autorità per sciogliere quel voto che lei sicuramente aveva fatto in un momento di forte e incontrollata emozione.
Inoltre ora che i due promessi sposi si sono effettivamente ritrovati, Padre Cristoforo, postali davanti a sé, idealmente li sposa e a loro, come è consuetudine, volge un discorso pieno di suggerimenti sul senso della vita e del dolore.
Comportamento questo che ciascun padre farebbe nei confronti del proprio figlio/a davanti a una scelta così importante come il matrimonio.
Che Padre Cristoforo sia il padre mancato di Lucia? Voi cosa ne pensate?

Federica Gaspari

3 giugno 2011

MILANO: IERI E OGGI






“[…] Quando Renzo entrò per quella porta [...] Un fossatello le scorreva nel mezzo, fino a poca distanza dalla porta, e la divideva così in due stradette tortuose, ricoperte di polvere o di fango, secondo la stagione. […]”cap.XI
Milano, nel 1628, si presentava agli occhi di tutti diversa da com’è adesso. Al tempo di Manzoni, e dei Promessi Sposi, era governata dagli spagnoli i quali dettavano le leggi a modo loro senza alcuna preoccupazione perché gli italiani non si ribellavano a questa situazione: è questo che il Manzoni volle far capire con il suo romanzo.
Nei Promessi Sposi, Milano era dotata di tre porte: Porta Orientale, per la quale Renzo Tramaglino e i Lanzichenecchi fanno il loro ingresso nella città; il primo per recarsi al convento per cercare Padre Bonaventura, i secondi, invece, causa scatenante della peste. La seconda è Porta Romana, nella quale si transitava per entrare sulla strada in direzione di Roma, oggi situata in piazza Medaglie d’Oro; e, infine, Porta Comasina. Milano era divisa in sei rioni, tre dei quali si riconoscevano per gli stemmi posti sulle tre Porte.
Già all’ora, Milano era un centro culturale di interesse. Possedeva una biblioteca: la veneranda Ambrosiana, fondata nel 1607 dallo stesso Federico Borromeo.
Oggi Milano è ancora dotata di queste porte, ma non svolgono più la funzione di un tempo (di ingresso alla città)infatti alcune di esse si trovano nelle piazze, considerate dei monumenti storici importanti. Nel corso dei secoli, infatti, due di queste hanno persino “cambiato il loro nome”: da Porta Orientale a Porta Venezia, in nome della città rimasta austriaca dopo la seconda guerra di indipendenza,  e da Porta Comasina a Porta Garibaldi.  
Oggi come all’ora, grande centro culturale, ma non come adesso ricco di biblioteche, musei e molte università. Le biblioteche più storiche sono tre: la veneranda Ambrosiana, la nazionale Braidense, voluta da Maria Teresa d’Austria nel 1770, e la civica Trivulziana fondata nel 1935 dalla famiglia Trivulzio, al cui interno anche un laboratorio di restauro. Ma anche la Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani, la Biblioteca Centrale di Ingegneria del Politecnico di Milano, e la Biblioteca del Conservatorio Giuseppe Verdi. Tra le università ricordiamo l’Università degli Studi di Milano e i musei più importanti sono la Pinacoteca di Brera e la pinacoteca Ambrosiana assieme alla biblioteca ambrosiana.
 Ed è qui che tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre si tiene la settimana internazionale della moda, un evento prestigioso che richiama molti stilisti e personaggi famosi.
Ma Milano, la sera si trasforma: diventa la “Milano da bere” nella quale nessuno si risparmia, assumendo droga e bevendo alcolici fino all’alba. 
 Zarantonello Gessica 

2 giugno 2011

PUNTO E A CAPO



"Non si pensò più che a fare i fagotti, e a mettersi in viaggio: casa Tramaglino per una nuova patria, la vedova per Milano. Le lacrime, i ringraziamenti e le promesse d’andarsi a trovare furono molte."

Renzo e Lucia lasciano Pescarenico per una nuova vita. Il passo che stanno per compiere non è facile per nessuno: lasciare la città in cui si è cresciuti e le persone conosciute negli anni. Renzo e Lucia sono molto tristi di dover abbandonare per sempre tutto, infatti, questo richiede tenacia e convinzione. Molte persone decidono di andarsene dalla propria città ma alla fine non ce la fanno perchè hanno paura di fare un passo più lungo della gamba. In più nessuno assicura che la nuova vita alla quale si aspira, dopo essere andati via, sarà migliore di quella lasciata. Le aspettative sono tante e a volte la realtà non è alla loro altezza.
Molti film, divenuti celebri, iniziano con il viaggio verso una nuova vita. Uno di questi, ormai cult, è "Harry ti presento Sally". I protagonisti di questo film si conoscono durante il viaggio in macchina, dopo la loro laurea, da Chicago a New York e qui iniziano una nuova fase della loro vita come Renzo e Lucia iniziano la loro a Bergamo. La nuova vita dei protagonisti dei "Promessi Sposi" inizia con alcuni problemi. Il destino nelle vesti della peste arriva in soccorso di Renzo: il padrone di un filatoio vicino a Bergamo muore e allora Renzo e Bortolo decidono di comprarlo. Renzo e Lucia si trasferiscono e in questo modo possono mettere un punto concludendo la loro avventura e andare a capo, iniziando un'altra vita più tranquilla e felice.

Giorgia Signoretto