14 dicembre 2010

Una suora speciale: la monaca di Monza




Il suo aspetto che poteva dimostrar venticinque anni, faceva a prima vista un’impressione di bellezza, ma d’una bellezza sbattuta, sfiorita e, direi quasi scomposta.(…)Due occhi neri neri  anch’essi, si fissavano talora in viso alle persone, con un’investigazione superba; talora si chinavano in fretta, come per cercar un nascondiglio; in certi momenti, un attento osservatore avrebbe argomentato che chiedessero affetto, corrispondenza, pietà; altre volte avrebbe creduto coglierci la rivelazione istantanea d’un odio inveterato e compresso.”

Manzoni introduce così nel nono capitolo un personaggio nuovo: la monaca di Monza. Attua, una digressione per spiegarci la storia triste, ma affascinante di questa monaca.

La monaca, chiamata da tutti la Signora, era nata nella famiglia di un principe e le era stato dato il nome di Gertrude. Il patrimonio del padre era destinato al primogenito, ed essendo Gertrude l’ultima nata, fu fin da bambina abituata alla vita del monastero, i regali che riceveva erano, dunque, bambole vestite da suora o santini.

A sei anni fu inviata in un convento di religiose, a Monza, per l’educazione e l’istradamento. Nell’abbazia era considerata una bambina diversa dalle altre, sia perché figlia del principe, sia perché alcune suore erano d’accordo col padre sul destino della piccola. Lei non aveva idee chiare per il futuro, ma non aveva alcun’intenzione di diventare suora. Mentre il tempo trascorreva si incamminava sempre più in un vicolo cieco e spinta dalle sue compagne scrisse una supplica al vicariato per poter entrare in convento, ma poi si pentì. Decisa nel non voler farsi suora, su suggerimento di una religiosa, scrisse una lettera al padre dove esprimeva la volontà di rimanere laica. Il padre non vide bene quella lettera e per la ragazza non cambiò nulla.

La legge prevedeva che prima dell’ammissione al noviziato ogni ragazza dovesse trascorrere un mese nella casa natale. La ragazza sperava di impietosire il padre con pianti e preghiere costringendolo a non imporle il monastero. Ma nella casa del padre nessuno la ascoltò e quando arrischiava timidamente qualche parola veniva corrisposta con uno sguardo distratto sprezzante o severo. L’unica persona che la badava era un paggio a cui si era affezionata. Scrisse una lettera, ma venne scoperta da una serva che portò il testo al principe. I genitori approfittarono di questo nuovo fatto ed esercitarono su di lei un forte influsso psicologico perché rinunciasse ai suoi desideri.

Il principe raggiunse quindi il suo scopo, perché la ragazza vide come unica liberazione il monastero e scrisse così una lettera per chiedere perdono al padre.

Grazie alla figura presentata dal Manzoni si può capire come le persone che esercitano il proprio volere su un altro individuo fin dal momento in cui è bambino possono riuscire ad ottenere ciò che vogliono. Per ciò bisogna stare attenti a non farsi condizionare troppo da ciò che fanno o dicono gli altri, per non far sfuggire una vita, che è fin troppo preziosa, e non va sprecata per i comodi degli altri.

Chiara Capparotto

3 dicembre 2010

IL DOLORE PER LA LONTANANZA



“Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari;[…] Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana!”

Così Manzoni racconta le tristi parole che Lucia, una dei principali protagonisti del romanzo “I Promessi Sposi”, dice allontanandosi su una misera imbarcazione e salutando il suo piccolo paese lombardo, quel paese che l’aveva vista nascere, crescere, e nel quale molto probabilmente lei aveva anche progettato il suo futuro da sposa e madre di famiglia. Già, perché mai avrebbe pensato che un giorno si sarebbe dovuta allontanare dalla sua casa, gli amici, i monti, i fiumi … insomma, tutto ciò che fino a quel momento aveva osservato, conosciuto, amato.
Da questo passo, nel toccante discorso di Lucia, risalta quindi un sentimento esplicito di
nostalgia, ovvero di “dolore per il non ritorno”. La giovane infatti prova un desiderio penoso e melanconico per ciò che sta abbandonando per sempre e, innalzando una preghiera a Dio, vuole riacquistare la forza di vivere e di sperare, nonostante l’amara consapevolezza che i bei posti della sua infanzia e giovinezza saranno ormai troppo lontani.
Il termine “nostalgia” nasce grazie allo studio di un medico alsaziano che descrisse una strana malattia osservata tra i soldati svizzeri arruolati in reggimenti stranieri come mercenari e colti da febbre alta e da una profonda depressione che portava, in alcuni casi, anche al suicidio. Tutto ciò era causato da una canzone che ricordava a questi omaccioni le verdi colline e le mucche al pascolo della felice terra patria e che provocava loro questa nuova, dolorosa sindrome. Fu quindi successivamente e rigorosamente vietato intonare la canzone che diede origine ad una grande emozione ancora oggi provata da chiunque, almeno una volta nella vita.
Anche nella società moderna, con una maggiore possibilità di viaggiare rispetto al 1628, spesso si prova una leggera nostalgia di casa quando si è lontani da essa. C’è lo studente che va all’estero per effettuare degli studi; l’uomo meridionale che si sposta al Nord per cercare lavoro e fortuna; l’amico che si trasferisce in una città lontana perché ha cambiato casa. In tutte queste circostanze, capita di rimpiangere la lontananza da persone o luoghi cari, ma anche di un evento collocato nel passato che si vorrebbe rivivere.                          
La nostalgia, dunque, dalle parole del filologo Antonio Prete, “ci dice costantemente che tutto ciò che abbiamo vissuto, che abbiamo amato, che abbiamo coltivato nel passato, non tornerà più, non ci appartiene più …”. E Manzoni ce lo racconta con le parole di Lucia, giovane paesana costretta a separarsi da ciò che fino a quel momento aveva reso felice ogni giorno della sua vita. Ora lei andava incontro ad una realtà diversa, sconosciuta; andava incontro ad una vita nuova.

Martina Scortegagna