8 giugno 2011

Confidiamoci


Lucia, col petto ansante, lacrimando senza piangere, come chi racconta una cosa che, quand’anche dispiacesse, non si può cambiare, rivelò il voto, e insieme, giungendo le mani, chiese di nuovo perdono alla madre, di non aver parlato fin allora; la pregò di non ridir la cosa ad anima vivente, e d’aiutarla ad adempire ciò che aveva promesso.
Rinchiusa nel castello dell’Innominato Lucia fa voto alla Madonna, promettendo di non sposare Renzo. Successivamente liberata la giovane confida alla madre di aver giurato di abbandonare l’idea del matrimonio.
È complesso fare dei paragoni tra il mondo d’oggi e quello del 1600 circoscritto alle mura domestiche e che si ampliava al massimo fino ai confini del paese o della parrocchia. Un contesto così è inconfrontabile con il vissuto degli adolescenti d’ oggi che usano  sms e facebook. Un tempo le confidenze in famiglia, in particolare tra genitori e figli, erano maggiori. Penso che ciò sia dovuto a vari fattori. C’era più rispetto nelle famiglie, e con questo non voglio dire che ora non ci sia, ma per esempio alcuni coniugi tra loro si davano del voi. La famiglia aveva un ruolo maggiore ed era più unita, quindi prima ci si confidava con i genitori o con i fratelli e poi con gli amici. Una confidenza, infatti, può essere fatta per vari motivi, ma spesso è per risolvere un problema che sembra impossibile. L’opinione di un’altra persona di sicuro aiuta a vedere la questione da un altro punto di vista, o addirittura a risolverla. Secondo me la confidenza va fatta alla persona giusta.  Non può essere chiunque, anzi, dev’ essere scelta con cura e dev’ essersi guadagnata la fiducia.  A mio avviso la scelta della persona con cui confidarsi dipende da ciò che si vuole dire. Alcune cose si dicono ai genitori, che hanno più esperienza, per altre invece si ricorre agli amici fidati sempre pronti a dare un consiglio.
E voi con chi vi confidate di più? 
Chiara Capparotto



7 giugno 2011

Volere&sapere, sono potere


Il contadino che non sa scrivere, e che avrebbe bisogno di scrivere, si rivolge a uno che conosca quell’arte, scegliendolo, per quanto può, tra quelli della sua condizione, perché degli altri si perita o si fida poco;l’informa con più o meno ordine e chiarezza, degli antecedenti: e gli espone, nella stessa maniera, la cosa da mettere in carta.”


“Volere è potere”. Sì, ma anche “volere e sapere è potere”. Il povero Renzo, lontano dalla sua patria e dalla sua amata, si trova costretto ad affidarsi ad uno sconosciuto e a raccontargli le sue avventure, le sue preoccupazioni e le sue speranze perché questi potesse scrivergli delle lettere da mandare ad Agnese e Lucia. Fino a non più di cent’anni fa erano tanti, anche nelle nostre zone, quelli che non avevano avuto la possibilità di frequentare la scuola e di conseguenza non sapevano né leggere né scrivere e per i loro affari erano sempre costretti ad affidarsi a qualche “letterato” del paese che potesse aiutarli. Pensandoci, ci sembra una cosa assurda perché ormai diamo per scontato l’idea di poterci arrangiare nelle piccole cose, di non dover dipendere completamente da qualcuno e di riuscire, in un certo senso, a difenderci da malintenzionati che potrebbero approfittare della nostra ignoranza. I tempi fortunatamente sono cambiati e gran parte della popolazione sa leggere e scrivere ma non dobbiamo pensare di essere realmente autonomi in tutto! Quante volte ci troviamo a dover consultare un medico per capire un referto, un avvocato per la comprensione di una legge, un commercialista per una dichiarazione dei redditi… ?Sono tante le occasioni in cui ci dobbiamo fidare ciecamente della persona che abbiamo davanti e a cui dobbiamo raccontare le nostre vicende e spesso ci sentiamo anche un po’ a disagio una volta constatata la nostra ignoranza, per questo un po’ ci vergognamo perché abbiamo paura di essere giudicati da chi ne sa più di noi. C’è da dire che, se da una parte al giorno d’oggi siamo tutti più “scolarizzati” rispetto ai tempi di Renzo, anche la società attuale è molto più complessa di quella del tempo e quindi è normale che, nonostante anni di studio, ci troviamo del tutto ignoranti su certi argomenti tecnici e siamo costretti a chiedere l’aiuto di chi ne sa più di noi. Ma non ci dobbiamo preoccupare troppo di questo perché medici e avvocati hanno studiato anni e anni per arrivare a ricoprire quei ruoli!

Eleonora Ciscato

'HO IMPARATO', DICEVA..



“ Il bello era a sentirlo raccontare le sue avventure: e finiva sempre col dire le gran cose che ci aveva imparate, per governarsi meglio in avvenire. "Ho imparato," diceva, "a non mettermi ne' tumulti: ho imparato a non predicare in piazza: ho imparato a guardare con chi parlo: ho imparato a non alzar troppo il gomito: ho imparato a non tenere in mano il martello delle porte, quando c'è lì d'intorno gente che ha la testa calda: ho imparato a non attaccarmi un campanello al piede, prima d'aver pensato quel che possa nascere." E cent'altre cose. “

Nella vita ci sono due tipi di persone: quelle ottuse, e quelle che dagli errori imparano. Le prime sono quel tipo di persone che dopo aver commesso un errore, potrebbero ripeterlo per altre cento o mille volte, sempre identico, sempre uguale; questo perché non sanno capire ciò che di sbagliato c’è nelle loro azioni, non sanno trovare la parola che non funziona nella loro frase e, di conseguenza, continueranno a riscriverla la in modo scorretto. Questo può essere conseguenza di un atteggiamento troppo orgoglioso per ammettere i propri errori o semplicemente dell’essere troppo testardi e non riconoscerli nemmeno.
Le seconde, invece, sono persone che, dopo aver commesso un fallo, sono in grado di capire dove hanno sbagliato, capire le cause della loro azione e le conseguenze, per poi cercare di non commettere più errori simili. Certo, non è semplice, ma il nostro amico Renzo è entrato ufficialmente a far parte di questa categoria. Dopo le sue numerose avventure, tra rivolte, sbronze e soliloqui nelle piazze di Milano, Renzo, insieme con Lucia, si trasferisce a Bergamo e inizia una nuova vita. Manzoni, sottolinea nel Romanzo come questo importante personaggio sia in grado di apprendere dai propri errori, ‘per governarsi meglio in avvenire’, e come sia fiero di raccontarlo ai suoi figli, perché essi possano prenderne esempio.
Il nostro protagonista, quindi, giunti a conclusione, ha superato la prova e si è dimostrato un personaggio positivo, che cresce nel corso di tutta la narrazione e cambia in meglio.
Perciò, si può imparare dai propri errori?
Noemi Bolzon

E VISSERO TUTTI FELICI E CONTENTI..




“..E per questo, soggiunge l'anonimo, si dovrebbe pensare più a far bene, che a star bene: e così si finirebbe anche a star meglio. È tirata un po' con gli argani, e proprio da secentista; ma in fondo ha ragione. Per altro, prosegue, dolori e imbrogli della qualità e della forza di quelli che abbiam raccontati, non ce ne furon più per la nostra buona gente: fu, da quel punto in poi, una vita delle più tranquille, delle più felici, delle più invidiabili; di maniera che, se ve l'avessi a raccontare, vi seccherebbe a morte..”

“E vissero tutto felici e contenti..”. Questa frase, sentita e risentita, è la fine adatta anche per i Promessi Sposi. Renzo e Lucia, superati gli innumerevoli imprevisti e ostacoli, riescono finalmente a coronare il loro sogno d’amore; la loro vita diventa felice, senza troppi problemi, e soprattutto normale!
Un classico finale da favola, degno di una storia così travagliata. I “piccioncini” si giurano amore eterno, i cattivi vengono perdonati, la fortuna gira..e gli ignavi restano tali e quali.
Ogni cosa si trasforma in quel perfetto lieto fine che Renzo e Lucia sognavano da quel lontano 1628: arriva il trionfo del bene sul male e i Promessi vengono premiati per aver sopportato le prove imposte loro dal destino.
Così anche nella vita di tutti i giorni le persone aspettano l’arrivo del “momento felice”, quella sensazione di problemi risolti, serenità, nulla per cui preoccuparsi. La vita, però, spesso è tutto il contrario, anzi forse è altalenante, ancora peggio. Un momento si è in paradiso e il momento dopo sembra crollato tutto il mondo felice che si era costruito. I periodi pieni di problemi sembrano troppi, tutto è frenetico e appena si trova un secondo per liberare la mente, ecco che ritorna il pensiero dell’appuntamento, del lavoro non finito, dell’amico arrabbiato, del brutto voto nel compito.
Renzo e Lucia potrebbero però essere d’esempio. Un esempio di perseveranza e sopportazione. Insieme, seppur lontani, sono riusciti a sconfiggere con il loro amore i capricci di Don Rodrigo, la codardia di Don Abbondio e hanno superato le più difficili prove per arrivare al tanto sognato traguardo finale. Bisognerebbe imitarli, pensare che un lieto fine esiste sempre e che le montagne che si innalzano nella vita non sono mai troppo alte da non poterle superare. Impegno, costanza e forse un po’ di fatica, il dulcis in fundo c’è, ne sono convinta! E voi, pensate che la felicità delle favole possa esistere davvero?

Sara Adami

UNA PIOGGIA DI SALUTE

                               

“Appena infatti ebbe Renzo passata la soglia del lazzeretto e preso a diritta, per ritrovar la viottola di dov'era sboccato la mattina sotto le mura, principiò come una grandine di goccioloni radi e impetuosi, che, battendo e risaltando sulla strada bianca e arida, sollevavano un minuto polverìo; in un momento, diventaron fitti; e prima che arrivasse alla viottola, la veniva giù a secchie. Renzo, in vece d'inquietarsene, ci sguazzava dentro....
Ma quanto più schietto e intero sarebbe stato questo sentimento, se Renzo avesse potuto indovinare quel che si vide pochi giorni dopo: che quell'acqua portava via il contagio; che, dopo quella, il lazzeretto, se non era per restituire ai viventi tutti i viventi che conteneva, almeno non n'avrebbe più ingoiati altri”

Sicuramente oggi la pioggia viene vista come una delle cose peggiori che possiamo incontrare in una nostra giornata e sicuramente non come una svolta, ma piuttosto come un handicap che ci può creare non pochi disagi. Figuriamoci una tempesta!!
Con Manzoni, invece, questo fenomeno viene utilizzato per dare una svolta fondamentale al romanzo. Se non ci fosse stata una grande tempesta, il romanzo sarebbe potuto terminare...magari per l'assenza di personaggi, dato che molti sarebbero morti a causa della peste. La pioggia, cosa che il popolo ignorava, era un ottimo rimedio e un'ottima cura proprio alla peste che stava sterminando moltissime persone. Scelta forzata quindi o scelta stilistica?? La pioggia infatti è anche un elemento che purifica e Manzoni come sappiamo voleva sottolineare nel suo capolavoro la necessità di una svolta anche nelle vita del tempo, una necessità di purificare la città di Milano dagli stranieri.
Come tutti sanno l'acqua è fondamentale per la sopravvivenza ed è anche un argomento che è sempre nei discorsi delle persone ed al quale si attribuiscono valori positivi ma anche negativi. Per prima cosa basta pensare ai periodi secchi e aridi, nei quali si prega che piova, ma alla fine non accade quasi mai. Poi, però, quando finalmente piove, non è una noia e un dispiacere, ma al contrario una festa e un sollievo, proprio come per Renzo quando nel lazzaretto cercava Lucia. Altro esempio di queste feste è sicuramente l’Africa con le celebrazioni tradizionali delle varie tribù in favore dell’acqua che offre loro enorme sollievo. Ci sono però anche aspetti negativi che riguardano l’acqua. Non si può non citare l’alluvione dei primi di Novebre del 2010 che ha colpito e immobilizzato la città di Vicenza per quasi tre giorni. Si fanno anche molte domande sull’acqua! Una su tutte “l’acqua deve essere privatizzata o no?” A questo proposito è stato anche indetto un referendum popolare.
Insomma, l’acqua è un elemento utilazzato nella vita di tutti i giorni, certe volte non molto preso in considerazione, ma che ha contribuito addirittura a formare la storia letteraria del nostro Paese e magari potrebbe modificare anche il “futuro” attuale dell’Italia…in base magari al referendum! E voi cosa pensate dell’acqua e dei suoi “effetti”?

Matteo Fontana

PERSONAGGIO PREFERITO ...A VOI LA SCELTA !




I Promessi Sposi vi sono piaciuti? Un classico della letteratura universalmente riconosciuto come romanzo di altissima importanza storica e culturale. E i personaggi? Qui di seguito sono presentati i personaggi principali del romanzo tra i quali potete scegliere il vostro preferito :
Renzo Tramaglino, il giovane sposo intelligente e furbo (anche se non bastano quando è immerso in problemi al di fuori del suo paesello )
Lucia Mondella, la promessa sposa a Renzo, rappresenta la forma più pura e sincera di religiosità( fin troppo direi)
Don Abbondio, sacerdote che dovrebbe sposare i due promessi sposi.E' un codardo arrongante con i deboli e ha paura dei potenti, infatti è servile con loro.
Don Rodrigo:signorotto di quelle terre che vive nell'illegalità e usa la violenza per raggiungere i suoi scopi
L'Innominato,già dal nome si capisce tutto e a differenza di don rodrigo che è un signorotto di quelle terre, lui è il BOSS
La Monaca di Monza, una ragazza coraggiosa che non esita ad andare contro la volontà del padre per realizzare i propri sogni ma invano, perchè costui la ricatta ed è costretta a farsi monaca.
Padre Cristoforo, frate che aiuta i giovani sfortunati ed è il padre ideale pronto a sacrificare la sua vita per salvare gli altri
Agnese, la madre di Lucia
Tonio e Gervasio, due fratelli amici di Renzo
Perpetua, domestica di Don Abbondio,
Azzecca-Garbugli, avvocato che modifica la legge in modo che gli unici ad avere giustizia siano i potenti.
Cardinale Borromeo, il cardinale grazie al quale l'innominato si converte, oltre ad aiutare Renzo e Lucia.
Griso è il capo dei bravi ,più fidato di don rodrigo, anche se quando scopre che Don Rodrigo ha la peste scappa e lo lascia solo
Tra i tutti i personaggi il mio preferito è senz' altro l' Innominato, un personaggio inizialmente malvagio, ma che gode di molto rispetto, tipo era il boss o un capomafia moderno
Adesso tocca a voi. Qual'è stato il vostro personaggio preferito?

ASTOU SECK

6 giugno 2011

Tortura: risolto qualcosa?

“…ah Dio mio! Ah che assassinamento è questo!……Per amor di Dio, fatemi dar da bere; ma insieme: non so niente, la verità l’ho detta. Dopo molte e molte risposte tali, a quella freddamente e freneticamente ripetuta istanza di dir la verità, gli mancò la voce, ammutolì; per quattro volte non rispose; finalmente potè dire ancora una volta, con voce fioca: non so niente;la verità l’ho già detta. Si dovette finire, e ricondurlo di nuovo, non confesso, in carcere.!”

La storia di Guglielmo Piazza e GianGiacomo Mora è uno dei tanti esempi che mostrano fino a che punto può arrivare la follia umana quando a causa di disastri entra in gioco la salute, anzi la vita di una comunità.
Siamo nella Milano del 1630, una Milano stremata, messa a K.O. da una malattia contagiosa che strappa di giorno in giorno la vita a centinaia di persone e di cui non si conosce né l’origine né tanto meno rimedio: la peste.
La paura della morte, il dolore, la fame e la debolezza che ne conseguono paiono aver fatto perdere totalmente la ragione e ogni valore umano alle persone che iniziano a credere a fatti che, come l’esistenza degli untori, sono privi di qualsiasi fondamento ed è proprio in questa situazione assurda, in cui non si può nemmeno passeggiare vicino ad un muro per ripararsi dalla pioggia senza il rischio di essere accusati di aver unto , che compare la tortura.
Infatti, in una simile situazione di miseria, in cui i milanesi vivevano costantemente con la paura e l’ansia, era necessario,per instaurare la calma , eliminare gli untori colpevoli di aver sparso la malattia in ogni angolo della città e con che altro mezzo si poteva fare meglio se non con la tortura?Fu così dunque che la tortura iniziò ad essere applicata come mezzo per ripristinare la sicurezza pubblica, ma il suo utilizzo fu tutt’altro che d’aiuto perché, come ce lo testimonia Pietro Verri, essa era controllata da giudici che gestendola a loro modo e piacere volevano che gli imputati confessassero la loro colpevolezza anche se innocenti.
Essa dunque costituiva un capriccio dei giudici e non uno strumento per conoscere la verità perché, anche se si continuava a confermare in lacrime o a squarciagola, giurando in nome di Dio o dei propri famigliari, la propria innocenza, si continuava a subire supplizi fino a quando non si elaborava una falsa notazione del fatto che accontentava il sadico giudice. Così fece per esempio il Piazza il quale, dopo essere stato sottoposto a vari tormenti perché continuava a ripetere la verità, ovvero di non essere mai stato a conoscenza che le mura della contrada Verga erano state unte, ad un certo punto per porre fine a tutte quelle sofferenze accusò il barbiere Mora di avergli preparato un unguento per diffondere la peste a base di sterco animale e saliva di morti.
Di episodi simili se ne verificarono di certo molti altri e tantissime furono quelle persone che, patendo e morendo per atti di cui non avevano assolutamente colpa, mostrarono come la tortura fosse uno strumento totalmente inutile e ingiusto capace semplicemente di strappare dalla bocca degli imputati non la verità, ma un sacco di menzogne.
Tuttavia a quanto pare la morte di molte persone e le redazione di libri che condannano la pratica della tortura sembrano non aver scomposto tutta l’umanità, ma solo una parte di essa perché al giorno d’oggi, nonostante siano passati 381 anni e il mondo si sia evoluto, la tortura non è un brutto ricordo del passato, ma appartiene ancora al presente.
Infatti, secondo i dati di Amnesty international sarebbero ancora 150 gli stati che aderiscono alla tortura e ciò che è sconvolgente è che alcuni di essi sono democratici e molto sviluppati.
A parer mio la tortura dovrebbe essere abolita perché non serve a dar luce a un caso, non dà ripristino all’ordine violato e tanto meno non ha un valore correttivo nei confronti del reo perché se quest’ultimo è innocente, tale punizione accrescerà solamente il suo odio nei confronti delle istituzioni. E poi scusate ma io mi chiedo: come può una persona condannare un individuo ad essere torturato se quest‘ultimo sostiene di essere innocente?. È vero che i criminali tendono di solito a smentire le proprie accuse, ma cosa spingono i giudici ad avere così tanto coraggio?
Francamente, se io fossi accusata di aver ucciso una persona e dovessi essere sottoposta a tortura per confessare di essere la colpevole, subito io mi inventerei di aver compiuto il delitto, anche se magari a quell’ora mi trovavo nel divano di casa mia a guardarmi pacifica la tv con davanti un sacchetto di pop corn. Dunque, la tortura è solo uno strumento che non reca alcun effetto positivo, ma solo dolore e menzogne e sinceramente, anche se ormai ci sto pensando da più di qualche giorno, non riesco a trovare nessuna ragione che possa giustificare la sua pratica così crudele ed ingiusta.Voi per caso riuscite a trovarne qualcuna?

Valentina Bastianello 2^Dls

5 giugno 2011

UN PADRE PER LUCIA



La figura di Padre Cristoforo nel romanzo è quasi un simbolo dell'eterna lotta tra il bene e il male, tra la forza spirituale e quella materiale, è un personaggio molto significativo che non si limita a dare dei consigli, ma agisce personalmente per aiutare Lucia.
Lucia è una ragazza umile, con nobili sentimenti, conscia dei suoi doveri di donna e di cristiana. Una strana sorte l'ha portata in mezzo a una serie di intrighi e di terribili vicende, ma anche di fronte al pericolo e al dolore ha trovato dentro di sé le risorse per ristabilire l'equilibrio e la pace dello spirito. Infatti, fin dal principio, pur essendo così angelica e sottomessa, ha saputo trovare in sé la forza di tener custodito un suo segreto. In tutto questo però c'era l'approvazione e l'appoggio di Fra Cristoforo, il suo padre spirituale.
Come si sa la figura del padre è essenziale nella vita di una persona, non solo di un bambino, ed è il personaggio che ha innanzitutto il compito di introdurci nella conoscenza della realtà totale e nel rapporto adeguato con essa.
Lucia, orfana di padre, vede in Padre Cristoforo l'unica persona capace di offrirle una soluzione alla difficile situazione in cui si trova e d'altro canto quest'ultimo non esita a venirle in aiuto.
Padre Cristoforo ha, invece, una storia travagliata di un padre che vergognandosi di essere mercante ha voluto educare i migliori cavalieri e nobili del tempo, introducendo così il figlio in un mondo di orgoglio e presunzione nel quale si trova a disagio. Il fatto drammatico ha reso Lodovico responsabile di due omicidi. Una volta presa la decisione nulla lo farà desistere dal suo desiderio di emendarsi e di vivere dolcemente la nuova strada che la Provvidenza gli ha indicato, che è appunto quella della paternità spirituale. In questa vicenda diventa un punto di riferimento affettuoso, capace di accogliere e perdonare, benevolo, di mente aperta e di animo generoso; ma allo stesso tempo deciso, puntiglioso e duro (vedi il discorso che fa a Lucia nel lazzaretto).
Fra Cristoforo è proprio come un “padre” quando risolve il problema di Lucia, si serve della sua autorità per sciogliere quel voto che lei sicuramente aveva fatto in un momento di forte e incontrollata emozione.
Inoltre ora che i due promessi sposi si sono effettivamente ritrovati, Padre Cristoforo, postali davanti a sé, idealmente li sposa e a loro, come è consuetudine, volge un discorso pieno di suggerimenti sul senso della vita e del dolore.
Comportamento questo che ciascun padre farebbe nei confronti del proprio figlio/a davanti a una scelta così importante come il matrimonio.
Che Padre Cristoforo sia il padre mancato di Lucia? Voi cosa ne pensate?

Federica Gaspari

3 giugno 2011

MILANO: IERI E OGGI






“[…] Quando Renzo entrò per quella porta [...] Un fossatello le scorreva nel mezzo, fino a poca distanza dalla porta, e la divideva così in due stradette tortuose, ricoperte di polvere o di fango, secondo la stagione. […]”cap.XI
Milano, nel 1628, si presentava agli occhi di tutti diversa da com’è adesso. Al tempo di Manzoni, e dei Promessi Sposi, era governata dagli spagnoli i quali dettavano le leggi a modo loro senza alcuna preoccupazione perché gli italiani non si ribellavano a questa situazione: è questo che il Manzoni volle far capire con il suo romanzo.
Nei Promessi Sposi, Milano era dotata di tre porte: Porta Orientale, per la quale Renzo Tramaglino e i Lanzichenecchi fanno il loro ingresso nella città; il primo per recarsi al convento per cercare Padre Bonaventura, i secondi, invece, causa scatenante della peste. La seconda è Porta Romana, nella quale si transitava per entrare sulla strada in direzione di Roma, oggi situata in piazza Medaglie d’Oro; e, infine, Porta Comasina. Milano era divisa in sei rioni, tre dei quali si riconoscevano per gli stemmi posti sulle tre Porte.
Già all’ora, Milano era un centro culturale di interesse. Possedeva una biblioteca: la veneranda Ambrosiana, fondata nel 1607 dallo stesso Federico Borromeo.
Oggi Milano è ancora dotata di queste porte, ma non svolgono più la funzione di un tempo (di ingresso alla città)infatti alcune di esse si trovano nelle piazze, considerate dei monumenti storici importanti. Nel corso dei secoli, infatti, due di queste hanno persino “cambiato il loro nome”: da Porta Orientale a Porta Venezia, in nome della città rimasta austriaca dopo la seconda guerra di indipendenza,  e da Porta Comasina a Porta Garibaldi.  
Oggi come all’ora, grande centro culturale, ma non come adesso ricco di biblioteche, musei e molte università. Le biblioteche più storiche sono tre: la veneranda Ambrosiana, la nazionale Braidense, voluta da Maria Teresa d’Austria nel 1770, e la civica Trivulziana fondata nel 1935 dalla famiglia Trivulzio, al cui interno anche un laboratorio di restauro. Ma anche la Biblioteca Comunale di Palazzo Sormani, la Biblioteca Centrale di Ingegneria del Politecnico di Milano, e la Biblioteca del Conservatorio Giuseppe Verdi. Tra le università ricordiamo l’Università degli Studi di Milano e i musei più importanti sono la Pinacoteca di Brera e la pinacoteca Ambrosiana assieme alla biblioteca ambrosiana.
 Ed è qui che tra la fine di settembre e l’inizio di ottobre si tiene la settimana internazionale della moda, un evento prestigioso che richiama molti stilisti e personaggi famosi.
Ma Milano, la sera si trasforma: diventa la “Milano da bere” nella quale nessuno si risparmia, assumendo droga e bevendo alcolici fino all’alba. 
 Zarantonello Gessica 

2 giugno 2011

PUNTO E A CAPO



"Non si pensò più che a fare i fagotti, e a mettersi in viaggio: casa Tramaglino per una nuova patria, la vedova per Milano. Le lacrime, i ringraziamenti e le promesse d’andarsi a trovare furono molte."

Renzo e Lucia lasciano Pescarenico per una nuova vita. Il passo che stanno per compiere non è facile per nessuno: lasciare la città in cui si è cresciuti e le persone conosciute negli anni. Renzo e Lucia sono molto tristi di dover abbandonare per sempre tutto, infatti, questo richiede tenacia e convinzione. Molte persone decidono di andarsene dalla propria città ma alla fine non ce la fanno perchè hanno paura di fare un passo più lungo della gamba. In più nessuno assicura che la nuova vita alla quale si aspira, dopo essere andati via, sarà migliore di quella lasciata. Le aspettative sono tante e a volte la realtà non è alla loro altezza.
Molti film, divenuti celebri, iniziano con il viaggio verso una nuova vita. Uno di questi, ormai cult, è "Harry ti presento Sally". I protagonisti di questo film si conoscono durante il viaggio in macchina, dopo la loro laurea, da Chicago a New York e qui iniziano una nuova fase della loro vita come Renzo e Lucia iniziano la loro a Bergamo. La nuova vita dei protagonisti dei "Promessi Sposi" inizia con alcuni problemi. Il destino nelle vesti della peste arriva in soccorso di Renzo: il padrone di un filatoio vicino a Bergamo muore e allora Renzo e Bortolo decidono di comprarlo. Renzo e Lucia si trasferiscono e in questo modo possono mettere un punto concludendo la loro avventura e andare a capo, iniziando un'altra vita più tranquilla e felice.

Giorgia Signoretto


18 maggio 2011

"AMICO MIO"...CARI SALUTI!




“ -Ah traditore infame!.. Via, canaglia! Biondino! Carlotto! Aiuto! Sono assassinato!- grida Don Rodrigo […] -Tu! Tu! - mugghiava Don Rodrigo verso il Griso, che vedeva affaccendarsi a spezzare, a cavar fuori danaro, roba, a far le parti. -Tu! Dopo! Ah diavolo dell’inferno! Posso ancora guarire!- il Griso non fiatava, e neppure, per quanto poteva, si voltava dalla parte di dove venivan quelle parole.”


La vicenda tra il Griso e Don Rodrigo è un esempio di un tradimento di amicizia bello e buono! Don Rodrigo, ammalato di peste, chiede aiuto al fidato Griso affinché chiami il chirurgo del paese, il dottor Chiodo, per farsi visitare. Don Rodrigo si affida al Griso poiché, confidando nei tanti anni di reciproca lealtà, è sicuro che il capo dei bravi non lo tradisca.
Il Griso, invece, senza considerare minimamente l’amicizia che lo legava al suo padrone, assicuratosi che il malore di Don Rodrigo fosse causato dall’aver contratto la peste, sembra interessarsi solamente a ciò che di proficuo potrebbe trarre dalla morte del signorotto. Decide quindi di tradire il suo padrone e avverte i monatti affinché portino Don Rodrigo al Lazzaretto.
Non solo nel ‘600, ma anche oggi i tradimenti di amicizia sono frequenti soprattutto quando uno dei due amici riesce a trarre vantaggio da questa situazione, dunque questo non si configura più come un rapporto di amicizia. Tante volte ognuno di noi tenta di dare una definizione alla parola Amicizia pensando a tutti i rapporti che si condividono con altre persone, pensando al proprio migliore amico o comunque cercando di riflettere intorno a quello che sia veramente l’amicizia. Ma qual è il risultato? Darne una definizione è spesso impossibile. Tutti noi abbiamo piccole realtà nascoste, detti anche “scheletri nell’armadio”, semplici o più complessi segreti che non riusciamo a raccontare nemmeno al nostro più grande amico; non le definirei bugie, in quanto la maggior parte delle volte di tratta di realtà troppo intime da poter trasmettere. La bugia è altro. La bugia è il celare una realtà, distorcere semplici o grandi cose all’occhio dell’altro, rendere quest’ultimo partecipe di un qualcosa che realmente non esiste. A tutti, prima o poi, è capitato di raccontare bugie, non necessariamente bugie importanti, classificabili come le bugie che portano alla crisi di un rapporto e che portano al tradimento, ma bugie “sane”, a volte dette per nascondere una realtà che potrebbe ferire l’altra persona, o semplicemente per nascondere fatti poco importanti. Il tradimento, quindi, è definibile come l’ultimo passo della scalata, che in questo caso è l’amicizia. E voi cosa ne pensate?

Carolina Rossi 2Ds

17 maggio 2011

FACCIAMO LA PACE?


“Ah gli perdono! gli perdono davvero, gli perdono per sempre!” esclamò il giovine.

Nel capitolo XXXV dei Promessi Sposi, in una tragica descrizione del Lazzaretto, Renzo incontra padre Cristoforo. Il giovane, raccontate le sue disavventure, dice di essere alla ricerca di Lucia, la quale se è ancora viva si dovrebbe trovare nel recinto preposto alle donne dove il padre lo autorizza ad entrare. Ma se al contrario la sua futura sposa dovesse essere morta, egli sarebbe pronto a vendicarsi nei confronti di don Rodrigo. Allora, con grande fermezza e ricordando la sua esperienza di assassinio, fra Cristoforo rimprovera Renzo e lo convince al perdono.
Rinunciando ad ogni rivalsa e vincendo il rancore si impara a sopportare, scusare e compiere dunque la più nobile delle azioni che avrà sicuramente effetti positivi su entrambi i soggetti interessati. Perdonare non è sinonimo di dimenticare visto che quasi sempre i torti subiti rappresentano anche delle conseguenze indelebili per la vittima; spesso è considerato un segno di debolezza ma al contrario aiuta ad essere in pace con se stessi e sopperire quel malessere che accompagna il periodo di astio o addirittura il desiderio di vendetta.
Il perdono è il presupposto per l’amore di coppia, per l’amicizia, per una vita felice e priva del peso di trovare un modo con cui “farla pagare” all’altro. E’ come voltar pagina e ricominciare da capo, arricchiti di nuove esperienze e quindi con una minore probabilità di sbagliare.
Sfortunatamente oggi molte persone stanno perdendo questa buona abitudine e preferiscono agire d’istinto, escludere a priori la possibilità di una riconciliazione e pertanto cadere nell’illusione di essere “forti” perché non si sottomettono per prime. Si tratta di un gesto a volte doloroso che può richiedere molto tempo, ma utile e segno di grande maturità; sono i bambini infatti che tengono il broncio!
Anche per me non è sempre facile perdonare ma più che selezionare i torti che meritano il perdono e quelli che non lo meritano, è bene riconoscere, come dice Voltaire, che “siamo tutti impastati di debolezze e di errori: perdonarci reciprocamente le nostre balordaggini è la prima legge di natura”. A volte si dovrebbe dunque guardare prima sé stessi e poi, con tanto amore, valutare gli sbagli degli altri.  

Martina Scortegagna

9 maggio 2011

Ad ogni secolo la sua epidemia



La peste è un vero e proprio personaggio del nostro romanzo che viene raccontata dal Manzoni in tutti i suoi dettagli più raccapriccianti.
Ha provocato centinaia di migliaia di morti e decimato la popolazione, esplodendo rapida e violenta manifestandosi attraverso spasmi, delirio e dalla presenza di bubboni e lividi funesti.
Nel corso della storia vi sono state molte epidemie che hanno afflitto il genere umano come ad esempio il colera o il vaiolo.Con il progresso di questo secolo, le innovazioni tecnologiche e in campo della sanità, la paura di una nuova simile calamità è scomparsa.
Ma attenzione che non è come sembra!
Oggi le grandi epidemie non si sono ancora estinte perché,anche se in molti non lo sanno, c'è chi dice che l'AIDS sia la peste del Duemila.
Il continente nero nel prossimo decennio potrebbe essere cancellato da questa malattia.
Vi sono 23 milioni di sieropositivi ed il numero è sempre in crescita.
L'AIDS è la sindrome di immunodeficienza acquisita che toglie le difese immunitarie dell'organismo rendendolo così vulnerabile ed anche una semplicissima influenza potrebbe portare alla morte.Il contagio di questa malattia non è per via aerea come la peste, ma avviene quando il virus entra nel sangue e quindi sessualmente, con lo scambio di siringhe, trasfusioni o situazioni analoghe.
L’ignoranza un’altra volta è colpevole di questa diffusione. Sono troppe le persone che non sanno o che non si rendono conto della gravità del problema.Le giuste prevenzioni per evitare la diffusione dell’AIDS ci sono ,ma spesso vengono ignorate.
La diffusione di questa malattia è ormai fuori controllo.
Si sa che questo problema esiste ma non c’è la forza di rendersene conto perché farlo vorrebbe dire rinunciare a determinate cose come la libera sessualità ad esempio, o come con la peste si ha semplicemente paura di ammettere la realtà.
Non dobbiamo rischiare di commettere gli stessi errori che i Promessi Sposi ci sottolineano.
L’incapacità di ammettere l’esistenza di un’ epidemia così pericolosa ha portato alla morte troppe persone, oggi quest’errore non può essere tollerabile perciò coraggio e informatevi perché oggi la peste del Duemila è maggiormente sviluppata in Africa,ma domani potrebbe bussare alla nostra porta.

Tea Posenato 2Ds
                                                                                                                 

2 maggio 2011

RAZZIE: OLTRE AL DANNO LA BEFFA!


..Ciò che c'era da godere o da portar via, spariva; il rimanente, lo distruggevano o lo rovinavano; i mobili diventavan legna, le case, stalle: senza parlar delle busse, delle ferite, degli stupri. [...] Non trovando piú da far preda, con tanto piú furore facevano sperpero del resto, uciavan le botti votate da quelli, gli usci delle stanze dove non c'era piú nulla, davan fuoco anche alle case; e con tanta piú rabbia, s'intende, maltrattavan le persone; e così di peggio in peggio, per venti giorni...”


Ladroni, sciacalli, mercenari, pirati, predoni, razziatori, briganti: sono loro i protagonisti di questa storia. Il racconto inizia con la nascita stessa dell'uomo e trova sviluppo quando l'essere umano impara l'arte bellica e con essa pratica la razzia. Il conquistatore non si limita ad avanzare e a combattere nei territori stranieri con il proprio esercito, ma dopo aver vinto il popolo nemico lo deruba di ogni suo bene, spargendo terrore e distruzione.
Anche gli antichi Romani, in seguito alle loro battaglie, saccheggiavano le città conquistate e spartivano il bottino ottenuto- complessivo di oro, armi, servi, donne- tra i combattenti, usanza che viene testimoniata, ad esempio, ne “ L'Iliade”.
La storia continua con la celebre razzia della Basilica di san Pietro a Roma nel' 846, messa in scena dai Saraceni. Proprio dopo questa depredazione venne progettata e costruita la cinta muraria che protegge il Colle Vaticano e san Pietro.
Nel 934 i Saraceni sono ancora i protagonisti della “favola” saccheggiando Genova con una flotta di 20 navi, tappa saliente della calata araba nella penisola italiana.
Non sono solo gli Islamici a compiere incursioni di questo tipo, ma anche i Cristiani che, durante le Crociate per la liberazione di Gerusalemme, razziano le città che incontrano e la stessa città santa. Si ricorda in particolare la quarta crociata durante la quale la rotta venne modificata e gli eserciti giunsero a Costantinopoli che saccheggiarono e derubarono.
Nel 1527 i Lanzichenecchi, soldati mercenari provenienti dalla Scandinavia, mettono a ferro e fuoco Roma nel celebre “Sacco di Roma”, uno dei più famosi della storia.
L'esercito scandinavo compare anche ne “I promessi sposi”; la calata dei lanzichenecchi avviene quando Milano è messa in ginocchio sia dalla carestia che dalla peste bubbonica. I mercenari distruggono ciò che la malattia o la fame aveva risparmiato, rendendo ancora più debole la capitale lombarda.

Saccheggi di questo tipo non avvengono solo nei romanzi o nell'antichità, ma anche ai nostri giorni ed è per questo che questa storia non ha un finale.
Nel novembre 2010 la città di Vicenza è stata vittima di una grande alluvione che ha distrutto molti quartieri. L'acqua è penetrata nelle case, nei negozi, nelle scuole, nelle vite delle persone. In un momento di così grande difficoltà e disperazione i lanzichenecchi della nostra era hanno approfittato della situazione. Si sono verificati ripetuti atti di sciacallaggio in quasi tutte le zone della città. Questo è accaduto anche nelle realtà di disperazione dell' Abruzzo e di Haiti dopo la distruzione portata dal terremoto. Ecco perché le razzie non sono un capitolo chiuso
I saccheggi spogliano chi rimane ( i vinti- dall'esercito nemico, dalla peste, dall'acqua del fiume impazzito, dalla forza sovrumana della Terra) delle poche risorse per ricostruire la propria vita, della propria dignità; violentano l'uomo senza più nulla, come se la guerra non fosse stata abbastanza. Oltre al danno, la beffa!

Federica Bertagnin

28 aprile 2011

UN AMORE IMPOSSIBILE??



Don Abbondio e Perpetua,personaggi diversi ma allo stesso tempo simili e indispensabili l'uno per l'altro.
Lui cosi statico,debole e consapevole di esserlo,paranoico,ipocrita,egoista,continuamente sottomesso al potere,altezzoso e timoroso di tutto; un personaggio che non sopporto invece lei,una donna ”serva” del curato , fedele,affezionata e anche ubbidiente al proprio padrone. Convivono ma hanno lo stesso rapporto che avrebbe una coppia . Lui si confida con lei , raccontandole anche i segreti più intimi e lei cosi unita a lui cerca sempre di aiutarlo,senza tradirlo mai.
Ovviamente tra i due i litigi non mancano mai e soprattutto verso la fine del romanzo si intensificano sempre più!
Possiamo dire che sono come cane e gatto e questo loro rapporto particolare mi ricorda quello che esisteva tra Raimondo Vianello e Sandra Mondaini : due icone dello spettacolo , una delle coppie più amate dagli italiani.
Per la mia giovane età ricordo solo alcune puntate di “Casa Vianello” che guardavo quando ero con i nonni , ciò che so di loro l'ho letto soprattutto sui giornali al momento della loro scomparsa.
Il loro amore è nato sul set ed è durato un'intera esistenza,era un grande amore perchè ha superato anche l'ostilità del mondo dello spettacolo,che non è certo il posto ideale perchè si creino rapporti stabili e duraturi.
Sia come presentatori che come comici,erano sempre in contrasto tra loro , ma piacevano per questo:avevano trovato la formula giusta per il loro successo.
Anche Manzoni ci descrive Don Abbondio e Perpetua facendoli apparire cosi; per creare dei personaggi particolari che possano colpire l'attenzione e divertire il lettore,consapevole che possono non piacere ,come Don Abbondio che arriva a dar fastidio ed essere quasi “ridicolo”.
Chissà,magari tra i due sarebbe potuto nascere qualcosa,un'amore profondo e duraturo,se lui non avesse scelto di prendere una strada a senso unico?
Nonostante le numerose litigate ,che devono esserci ogni tanto in una coppia, erano sempre uniti forse anche perchè erano costretti a convivere!
Secondo me i due personaggi sono innamorati , magari devono ancora scoprirlo o forse sapendo che sarebbe un amore impossibile non ci pensano nemmeno.
Personalmente mi piacerebbero come coppia, ma voi cosa pensate,sarebbe un amore possibile quello tra Don Abbondio e Perpetua?

Veronica Rigodanza 2Ds

“Chiudere gli occhi” o accettare la realtà?



"In principio dunque, non peste, assolutamente no, per nessun conto: proibito anche proferire il vocabolo. Poi, febbri pestilenziali […]. Poi, non vera peste; vale a dire peste sì, ma in un certo senso; non peste proprio, ma una cosa alla quale non si sa trovare un altro nome. Finalmente peste senza dubbio e senza contrasto.” Cap. XXXI

Nel capitolo XXXI entra in scena la peste. Se l’arrivo di una qualsiasi epidemia scatena paura nella popolazione, con la peste il terrore aumenta notevolmente. Tutti -dai più colti agli analfabeti- temono talmente l’idea del contagio da chiamarlo con i nomi più disparati, “sminuendolo” e sottovalutandolo. Così, pur di allontanare (e quindi di non affrontare) il pensiero di questa catastrofe, si crea attorno alla realtà un castello di menzogne. Per quanto grande diventi questo castello, però, nulla può impedire al problema, nascosto ma reale, di esplodere, in questo caso con effetti disastrosi.  L’aver ignorato la malattia porta, infatti, ad un contagio maggiore. Ai morti a causa della peste bisogna aggiungere poi quelli condannati come untori. Se proprio non si può negare l’evidenza, un colpevole contro il quale puntare il dito almeno impedisce di riconoscere la colpa di ogni persona nel non aver preso precauzioni.
Per vivere più tranquilli si dà una diversa interpretazione non solo come in questo caso della peste, ma di tutto quello che preoccupa. Si allontanano i problemi, magari quelli più pressanti e spinosi, per non sconvolgere un equilibrio, per non mettere a repentaglio la propria felicità. Proprio come cantavano i Beatles “vivere è facile con gli occhi chiusi”. Ma più si rimanda e occulta la questione, più la si avvicina. Si vorrebbero voltare le spalle ad un problema, fra finta che nulla accada. Ci si ripete che va tutto bene e ci si autoconvince di questo piuttosto che  “prendere il toro per le corna” e cercare una soluzione. Si vorrebbe accantonare ciò di più scomodo, sperando magari che si risolva da solo, proprio come era stato fatto con la peste del 1629. Mentre i secoli passano, però, la natura umana non cambia. Se si pensa all’incidente della centrale nucleare di Fukushima in Giappone e al fatto che il livello di radioattività sia risultato (ufficialmente) pari a quello di Chernobyl nel 1986 solo dopo giorni e giorni dal disastro nucleare. La situazione sembra non essere più sotto controllo a differenza delle dichiarazioni iniziali che erano più rassicuranti, ma probabilmente poco vere.
E voi? Preferite vivere con gli occhi chiusi,ma felici, oppure affrontare la non sempre facile realtà?

Marina Picardi

18 aprile 2011

BARCONE AVVISTATO: DON ABBONDIO SEDUTO A PRUA





Quando non c’è più niente da fare. Quanto ci si sente disperati, con l’acqua alla gola. Quando non ce la si fa più.
E’ in quel momento che la speranza appare solo una: la fuga.
Via, andare via da tutti e a da tutto, sciogliere ogni legame con quel mondo che sta stretto, che sembra solo un incubo.
E’ a quel punto che si paga un barcone malandato come se fosse una crociera. E’ in quel momento che si decide di mollare tutto, affrontare qualsiasi paura, attraversare l’Inferno piuttosto di trovare una vita nuova.
Purtroppo in questi giorni di storie con questo modello ce ne sono a migliaia e tutti le vedono, passano sotto gli occhi e sono in grado di suscitare anche qualche lacrima … pochi sopportano la disperazione altrui. Eppure risulta difficile intervenire davvero, risulta difficile accogliere chi si trova in una delle più grosse difficoltà umane.
Strano, se non sbaglio tutti i popoli hanno una storia che è stata toccata almeno una volta dalla fuga, dall’esodo, dall’emigrazione. Rifugiati politici, religiosi, clandestini, persone di ogni provenienza, con le più svariate intenzioni e i più ambiziosi sogni. Tutti con la stessa comune necessità di trovare un luogo accogliente, diverso da quello di partenza, che appare come un miraggio.
L’Ebreo che cerca la Terra Promessa, l’emigrante che va in America per farsi una “nuova vita” nel Nuovo Continente, il cervello dello studente giovane e preparato che fugge alla ricerca di incentivi al suo lavoro e la sua ricerca, l’Egiziano, il Tunisino, il Libico disperato che vuole andare in Europa, che vuole trovare un lavoro e poi chiamare lì la sua famiglia per vivere finalmente una vita dignitosa e soprattutto normale.
A quanti, nel proprio piccolo, non è successo di cercare una via di fuga estrema?
Persino il nostro Don Abbondio ha provato qualcosa del genere:


Possibile che nessuno mi voglia aiutare! Oh che gente! Aspettatemi almeno, che possa venire anch'io con voi; aspettate d'esser quindici o venti, da condurmi via insieme, ch'io non sia abbandonato.


Pensate, un uomo che già normalmente ha paura di ogni possibile problema o “impiccio” della vita, che si trova ad affrontare l’arrivo dei lanzichenecchi, con la fama talmente terribile da scatenare il panico prima del loro arrivo. Ovviamente, il nostro curato agisce come da copione:
pensa solo a se stesso e a trovare qualcuno che lo possa portare in salvo. Per fortuna Perpetua mantiene i nervi saldi e decide con Agnese di recarsi al castello dell’Innominato, da poco convertito e diventato fonte di salvezza per ogni vivente, per trovare rifugio. E assieme a loro molti poveri contadini, pastori e gente comune che all’improvviso si trova a dover scappare a causa degli affari e dei contrasti tra uomini ricchi e famosi che nemmeno si sono mai visti in giro, i cosiddetti “potenti”.
Insomma la storia è sempre quella, che si ripete con forme e nomi diversi, ma è sempre la stessa.
E voi? Vi è mai capitato di voler o dover fuggire?

Debora Carolo

13 aprile 2011

LAZZARETTO: LUOGO DI CURA O DI MORTE?

Il lazzaretto era un luogo di confinamento e d'isolamento per portatori di malattie contagiose, in particolar modo di lebbra e di peste. Nelle città costiere, come Venezia,era anche un luogo chiuso in cui merci e persone provenienti da paesi di possibile contagio dovevano trascorrere un soggiorno di determinata durata, spesso di quaranta giorni, da cui il termine quarantena.                                                                                                                       Sull'origine del nome "lazzaretto" ci sono due ipotesi: la prima viene ricondotta a quella del lebbroso Lazzaro venerato come protettore delle persone affette da tale morbo, la seconda invece richiama il primo lazzaretto, quello di Santa Maria di Nazareth a Venezia, il cui appellativo si è trasformato da Nazareth a nazaretto a lazzaretto. Durante i periodi di maggior contagio, tali luoghi si riempivano di ammalati che diventavano rapidamente cadaveri: le condizioni igieniche precarie invece che arginare un contagio, lo favorivano, con il sovraffollamento, la vicinanza con il personale medico, che facilmente si ammalava a sua volta, e la mancanza di alcune condizioni igieniche. In generale tale struttura ha pianta quadrata ed è posto nella periferia della città o comunque fuori dalle mura. Al centro è situata una chiesa in cui vengono anche seppelliti i cadaveri. Le camere, circa trecento, sono delle semplici celle che si affacciano sul portico mediante una finestra e una porticina. La struttura tipica della cella presenta, al centro della parete, un camino, alla sua sinistra, in una nicchia, il gabinetto arieggiato mediante una piccola feritoia, e l’acquaio in pietra arenaria, accanto al quale si trova un armadio a muro.    
Una serie di personaggi operavano all'interno del lazzaretto: dai medici bardati con mascherine con naso adunco (vedi foto) a barbieri, frati,guardiani, cuochi ed inservienti.
monatti erano addetti ai servizi più penosi e pericolosi della pestilenza: essi dovevano togliere i cadaveri dalle strade e dalle case e portarli alle fosse comuni, dovevano accompagnare i malati al lazzaretto e avevano il compito di bruciare gli oggeti infetti e di chiudere le case dei malati. Comunque, anche svolgendo questo lavoro, i monatti sono stati considerati persone spregevoli: essi infatti entravano nelle case per rubare e non avevano pietà e rispetto per i malati. Il loro abito rosso scuro ed il campanello legato al piede, che costituivano la loro triste divisa, erano per la popolazione indifesa simbolo dell'orrore della peste.
Venezia fu probabilmente la prima città ad allestire un lazzaretto in Italia. Altri lazzaretti importanti nel nostro Paese erano situati a Padova, Verona, Cagliari, Bergamo e ovviamente a Milano, protagonista del capitolo XXXI dei Promessi sposi. A Vicenza era situato presso l'attuale chiesa di San Giorgio in Gogna.                                            
Anche Campo Marzio però, pur non essendo un vero e proprio lazzaretto era comunque un luogo di raccolta di appestati e morenti.
Poco resta degli antichi lazzaretti oggi; a Milano sotto il portico superstite è murata una vecchia lapide che riporta le parole latine "O viandante il passo trattieni ma non il pianto".