27 marzo 2011

Stessa persona, diverse identità




In seguito al colloquio tra Lucia e Agnese nel ventiseiesimo capitolo, con continui riferimenti a Renzo, il narratore ci informa degli ultimi sviluppi della vicenda del giovane. Nell’ottica deformante della burocrazia egli è infatti soltanto un nome su un documento che passa di mano in mano, da un funzionario all’altro. Più che un nome, nell’immaginario collettivo di politici insensibili e uomini che condannano facilmente, Renzo diventa “IL” nome agli occhi della giustizia che non si preoccupa minimamente di verificare come siano realmente i fatti, ma si limita all’apparenza, a ciò che si è sentito dire.
Accanto all’ingenuità di questi personaggi si aggiunge l’ironia dello stesso Manzoni che li rappresenta beffati da un umile popolano, il cugino Bortolo. Egli, oltre ad inventare storielle su Renzo per trarre in inganno i non pochi curiosi, riesce con le sue piccole astuzie a depistare la giustizia e a salvarlo, presentandolo in una nuova filanda sotto il nome fittizio di Antonio Rivolta.

“Bortolo lo condusse a un altro filatoio e lo presento sotto il nome di Antonio Rivolta, al padrone, ch’era nativo anche lui dello stato di Milano, e suo antico conoscente. [...] Alla prova poi, non ebbe che a lodarsi dell’acquisto; meno che gli era parso che il giovane dovesse essere un po’ stordito, perché, quando si chiamava: Antonio! le più volte non rispondeva.”

Ancora oggi la doppia identità rimane un simbolo di evasione da quello che si è in origine, per motivi molteplici, che possono essere di natura sociale, legati alla giustizia e non solo. Celebri esempi alimentati da questo tema sono i collaboratori di giustizia che devono cambiare connotati per sè e per i propri familiari ai fini della salvaguardia della propria vita.
L'utilizzo di doppie identità purtroppo si affianca troppo spesso anche a nomi di mafiosi; tra questi c’è il capo-mafia Bernardo Provenzano, latitante dal 1963. Si faceva chiamare Ingegner Lo Verde, era considerato il capo dei capi e nonostante molti sapessero la sua vera identità, ci sono voluti quasi 40 anni perché giustizia sia fatta (quarant’anni passati in buoni rapporti col sindaco di Palermo Vito Ciancimino, ma poi il “tradito” dal figlio di quest’ultimo, Massimo). Non si tratta però di personaggi inventati e "innocenti" come Renzo che, nel romanzo, attraverso stratagemmi fa perdere le tracce di sé; i personaggi attuali, seppur sotto diverse spoglie, sono comunque conosciuti tra le persone e chi per paura, chi per affari non li denuncia. Ed ecco alimentato un giro che è pane quotidiano specialmente nel sud Italia.

Bisognerebbe, forse, intraprendere una “caccia” sistematica perché di Ingegner Lo Verde ce ne sono troppi.


Sergio Paiu

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